Primi di Settembre 1999
Il prato bagnato era verdissimo. Pieno di colchici lilla e di goccioline d’acqua
a riflettere una luce potente. Il bosco più in alto sembrava impenetrabile;
abeti, faggi, cirmoli, mughi e larici coi loro verdi diversi coloravano il Cimon
della Pala come in un quadro; il bagliore accecante, l’aria limpida e fresca
come solo in una bellissima giornata settembrina, subito dopo il brutto tempo.
"Che meraviglia!", pensavo camminando, respirando a pieni polmoni,
annusando l’odore di montagna e di aria pura. Stavo seguendo un sentierino sassoso
e parecchio faticoso, per me cittadino sedentario, con la passione per il mare
e col vizio del fumo, ma mi sentivo così bene, tanto che procedevo spedito
a lunghi passi. Così salendo e salendo raggiunsi un mulo carico di bisacce
ed il suo padrone davanti con uno zaino stracolmo sulle spalle. Andavano a passi
lenti; mi accodai. Dopo un po’ si fermarono come per farmi passare.
"Buongiorno!" dissi timidamente.
"Dove sei diretto?"
"Non so, stò facendo una passeggiata"
"Tu sei Claudio vero? Mi ricordo di te all’università di architettura."
Rimasi stupito. Ci fermammo in piedi uno di fronte all’altro, in silenzio. Cercavo
di ricordare
"Io sono Giacomo, non importa se non ti ricordi.Anch’io prima di venire
qui avevo ricordi confusi del passato!.."
Ci stringemmo la mano senza sorridere e riprendemmo a salire.
Ero molto intimidito ed imbarazzato, forse anche dagli sbuffi dell’asino; non
sapevo cosa dire. Mi sentivo anche un po’ ridicolo con le mie sgargianti scarpe
da ginnastica, la mia bassottina al seguito, gli occhiali da sole ed il marsupio
rosso. Mi sentivo un po’ a disagio.
"E’ una femmina vero? Molto bella. Sai che questi cani in Inghilterra vengono
ancora usati per la caccia in tana? Una caccia feroce, all’ultimo sangue."
"Sì, lo so."
"La tua è una signorina elegante qui intorno è pieno di marmotte,
chissà forse ha dimenticato tutto ! Come te."
"Penso di sì"
"Come si chiama?"
"Pea."
"Vai ancora in barca a vela?"
"Sì, ma non più come una volta."
"Perché hai poco tempo, vero?"
"Sì."
Continuavamo a camminare; lui ogni tanto dava un colpetto al mulo e batteva
sui sassi con un bastone. Il viso scavato e magrissimo, la pelle segnata dal
sole, la barba di due o tre giorni, i capelli corti, brizzolati, e completamente
spettinati. Una camicia di canapa con due tasche sul petto, pantaloni alla zuava
di velluto consumati, al posto della cintura una cimetta ritorta legata con
un nodo piano, un paio di pedule in pelle infangate. Dallo zaino blù
da alpinista fuoriuscivano dei rotoli di tela legati con lo spago; dalla tasca
laterale lasciata aperta un cespo di un’erba strana simile al rosmarino. Sul
mulo due sacchi di iuta legati ai tasconi di pelle, anch’essi pieni di chissà
cosa.
"E tu dove stai andando con tutta questa roba?" mi feci coraggio.
"A casa. Ma adesso è meglio che torni indietro, si è fatto
tardi. Se vuoi puoi venirmi a trovare domani. Riprendi il sentiero, da qui prosegui
ancora per un po’..circa 20 minuti fino ad una biforcazione, vai su sulla destra
per un’altra mezz’ora, e poi mi trovi. Su, vai adesso che è tardi!"
"Va bene, cercherò di tornare domani."
"Porta pure la Pea."
"A domani."
Ero confuso, incuriosito, anche un po’ agitato.
Prima di tutto non capivo perché mi avesse mandato via con tutta quella
fretta, in fondo erano solo le quattro. Poi mi dispiaceva, e molto, non rammentare
chi fosse. Saltellando sui sassi cercavo tra i ricordi dell’università,
ma niente, non riuscivo proprio a ricordarlo. Allora incominciai a pensare ai
momenti passati insieme lungo il sentiero. Era un tipo veramente interessante
questo Giacomo. Dall’aspetto esteriore, a prima vista, poteva sembrare in tutto
e per tutto un montanaro, un malgaro, o chissà una guardia forestale
"Potrebbe essere un ricercatore" pensavo " dato che ha studiato
all’Università, dati i suoi modi così gentili ed urbani"
Non ci volle molto a capire la ragione di tutta quella fretta nel mandarmi via
di corsa. Appena giunto al villaggio, feci appena in tempo a salire sulla jeep
noleggiata per la visita al parco, che un forte vento sotto un nuvolone nero
carico di pioggia s’intrufolò nella valle accompagnato da lampi e tuoni.
Giunto a casa, cercai di organizzare il mio ritorno al parco per l’indomani.
Raccontai il mio incontro e convinsi i miei piccoli Sergio e Carlotta e mia
moglie a lasciarmi tornare su, senza fare storie.
"Domani è sabato, ti prego, torneremo a Padova domenica, in fondo,
non cambia nulla"
L’indomani mi svegliai prestissimo. Buttai qualcosa nello zainetto: il telefonino,
una macchina fotografica, un pile, una mela, un coltellino, il rinofrenal, l’agendina
(chissà poi perché), due fazzoletti, il binocolo, il bastone telescopico
in carbonio (cose da matti!!!), le sigarette, l’accendino, il mio quadernetto
nero Pigna e la penna. Stavolta mi infilai le pedule, un cappello in testa,
pantaloni di tela tipo "cinquetasche", il giubbo tipo "sailor".
Un bacio a Camilla e via, felice come un bambino.
Il cielo ancora scuro pareva sereno, aria fredda, tutto fermo e deserto. Passando
per il centro del paese mi fermai a bere un caffè al baretto già
aperto e mangiai un buondì. E via su per i tornanti verso il passo Rolle
a tutta velocità.
"Mamma mia che acidità di stomaco, ho già fumato due o tre
sigarette, ho dormito poco, i 2000 metri mi fanno girare la testa e per di più
nella fretta non sono neanche andato in bagno a lavarmi"
Giunsi allo spiazzo deserto per le auto e parcheggiai. 6.30 del mattino, ancora
freddo, intorno nessuno.
"Mamma mia forse sono diventato matto, sono già stanco adesso, ho
freddo, devo camminare per almeno due ore in salita forse sono diventato matto!"
Da bambino, a Carezza ricordo che i boschi mi facevano paura e che il fantasma
del Latemar mi terrorizzava. Mi accorsi di avere comunque ancora paura del bosco,
dei suoi fruscii, dei suoi sinistri scricchiolii
Proseguivo d’istinto, spinto dalla curiosità anche se, pur felice per
la dipartita, mi sentivo vulnerabile ed estraneo ad un ambiente che non conoscevo.
Ma ero attratto da Giacomo e dalla gita in solitudine come fosse un’avventura
d’altri tempi.
Pian piano camminando, respirando quell’aria fresca e pulita, guardando tutt’intorno
i boschi, i prati, le rocce, le cime delle montagne, il cielo ormai blù,
pian piano mi calmai un po’ e, finalmente più rilassato, potei godere
di tanta bellezza, di quella pace, di quei profumi.
Giunsi al villaggio verso le otto. Mi fermai un po’.
"Ho dimenticato la borraccia, l’unica cosa che davvero mi serviva"
ma poi mi guardai intorno e trovai subito una fontanella di acqua buona da bere.
"Mah son proprio un pesce fuor d’acqua bisogna imparare ad andare in montagna.
Meglio essere prudenti"
Ripresi il cammino un po’ rinfrancato. Il sentiero seguiva un ruscello tra i
larici e i mughi. Camminando vedevo dei funghi, ma non mi sarei mai azzardato
a toccarne uno. Dal muschio e da alcuni cespugli con piccoli fiori azzurro pallido
ed altri con bacche rosse evaporava nell’aria l’umidità della notte e
tutto pareva bagnato ma luccicante. Attraverso i rami qualche raggio di sole
tagliava l’ombra del bosco con riflessi azzurrognoli, rosati o bianchissimi.
Il giorno ormai s’era fatto ed io con lui mi sentivo più sicuro e più
forte.
Uscito dal bosco, attraversai una radura verdissima e la luce divenne abbagliante.
L’erba ancora fradicia era come se si schiudesse a farsi asciugare e quasi mi
dispiaceva calpestarla.
Giunto al sentiero sassoso pensai bene di togliermi il giubbo e rimasi in camicia.
"Ho fatto proprio bene a venire fin quassù!" pensai rasserenato
e come rinvigorito da un piacere interiore e profondo, purificante.
Alla biforcazione il sentiero si fece più ripido e tortuoso. Dopo qualche
tornantino tra un gruppo di alberi enormi, mi trovai in un dosso sopra un magnifico
pascolo ondulato, appeso ai piedi delle rocce da una fila sottile di alberi.
Sopra, alla mia destra le cime lontane verso il cielo, di fronte e giù
a sinistra come un piccolo altipiano verde leggermente inclinato, e sotto la
foresta di grandi alberi. In fondo, lungo l’attaccatura tra il prato ed il bosco
un tetto stretto e lungo ed il fumo dal camino; giù giù una malghetta
con le mucche già fuori. Dal dosso la malga pareva un piccolo francobollo
marrone nel verde del pascolo e la casa in fondo si vedeva appena.
"E’ ancora lontana, però"
Ma guardandomi intorno capii subito che sarei arrivato in un batter d’occhio.
Speravo solo fosse proprio quella la casa di Giacomo.
"Ti sei alzato presto. Bravo, hai fatto bene" Mi venne incontro serio
ma con due occhi tanto luccicanti e sorridenti, fulminei e svelti che l’accoglienza
mi apparve subito calorosa.
"Hai fame?"
"Mah, non so, sono un po’ scombussolato, non sono abituato a fare cose
del genere"
"Vieni che ti preparo qualcosa da mangiare."
Arrivati alla casa mi chiese di sedermi sul tavolo sotto un magnifico portico
di legno.
La casetta era così ben ambientata nel paesaggio che quasi non mi soffermai
ad osservarla con attenzione, tanto il mio sguardo veniva rapito dal prato e
dalla bellezza serena e tranquilla del pascolo sotto di noi.
Giacomo in un attimo appoggiò sul tavolo un coltello, una pagnotta profumata
e fumante, una ciotola con del latte, un barattolo di miele.
"Il pane è di stamattina ed anche il latte."
Si sedette di fianco a me con le spalle ai monti e lo sguardo a sud verso il
pascolo e giù i boschi, e più giù ancora la valletta e
lontane altre cime ed altri boschi, e dietro ancora altre montagne.
Mangiammo in silenzio pane caldo e miele bevendo dalla stessa ciotola un po’
di latte tiepido.
"Questa è la mia casa e quella che vedi è la mia terra. Anche
il bosco qua dietro e di là verso Nord Il confine invece da dove sei
arrivato corre sul dosso. Quella è la stalla dove tengo le bestie. Là
sotto c’è la malghetta lungo il sentiero principale vedrai dopo arriverà
qualche escursionista o qualche alpinista. Alcuni passano di ritorno dall’altipiano
delle Pale, raramente qualcuno passa anche di quaVivo qui da quattro anni"
"Sei solo?"
"Sì."
Mi condusse a visitare l’orto e poi la stalla. C’erano due mucche e quattro
vitelli, qualche capra, due maialini di piccola taglia, tre pecore, un pollaio
e l’asino. Nel mezzo una piccola stufa in pietra; tutto molto pulito e ordinato
emanava quell’inconfondibile profumo di malga e di alta montagna, di tepore
e di latte.
Fece uscire tutti gli animali, liberi sul prato; con un fischio chiamo’ un cane
nero dal pelo arruffato, evidentemente un cane pastore, che con molta calma
si avvicinò agli animali e poi si mise a cuccia sul prato.
Poi mi portò a camminare nel bosco per vedere il ruscello che scorreva
circa un chilometro a monte della casa e poi, tornati giù, mi fece bere
l’acqua del pozzo, gelida e buonissima.
"Ormai sarà quasi mezzogiorno. Posso farti qualcosa qui, oppure
se preferisci posso accompagnarti alla malghetta sotto il pascolo."
"Mi piacerebbe stare qui, se per te va bene"
"Va bene"
Entrammo dall’ingresso a Nord verso la stalla.
La casa, un rettangolo stretto e lungo, costruita in pietra e tronchi, aveva
due ingressi sui lati corti, entrambi coperti dal tetto a capriate e da
due soppalchi aperti per il fieno e la legna.
Appena entrati, una specie di ingresso con un pavimento in pietra, uno sgabello
di legno, dei ganci alle pareti con appesi zaini, attrezzature varie, scarpe,
cordame ed altri oggetti. Notai subito due accette, un fucile da caccia ed una
scaletta a pioli in legno.
Attraverso un'altra porta in legno, salendo un gradino si accedeva poi nella
stanza centrale.
Ci togliemmo le pedule bagnate nell’attrezzeria ed entrammo in casa.
In mezzo, un grande focolare con appese due teglie di rame; lungo i due lati
lunghi, da una parte un tavolo fratino e dall’altra un giaciglio come un divano
in pietra con sopra un foutón rivestito di tela grezza.
Sui due lati corti una scala a pioli in legno, un tavolo, una cucina economica
rosso bordeaux con l’acquaio a fianco ed una stufetta in terracotta. Quattro
finestrelle, più piccole quelle a monte rivolte a mattina, poco più
grandi quelle a valle e le due coppie di porte a nord e a sud. Due cose mi colpirono
subito: vicino alla stufetta, su di un cavalletto da pittore c’era poggiata
una tela grezza intelaiata con incollati alcuni fogli di carta tipo cinese o
pergamena sotto i quali traspariva qualche leggero segno come di una stampa.
A fianco del cavalletto alcune ciotole di latta e di vetro con dei liquidi,
delle colle, dei colori, delle spatole ed alcuni pennelli. Sul tavolo di fianco
al divano c’erano due computer portatili di ultimissima generazione, una grande
stampante, uno scanner ed altre attrezzature del genere; la radio, il barometro,
dei blocchi d’appunti e delle matite. Appena entrato si diresse alla cucina
economica già calda ed inserì un grosso ceppo; con calma e sempre
in silenzio da un cesto di vimini estrasse qualche pigna e dei rametti secchi
e li dispose sull’alare del focolare; poi riaprì la cucina economica
e con un forchettone tirò fuori un paio di grosse braci e così
in un attimo attizzò anche il fuoco del camino centrale. Mi fece accomodare
sul fratino e mi chiese di tagliare due fettine sottili da un pezzo di pancetta.
Poi aprì una botola sul tavolato di legno e scese giù.
"Vuoi venire a vedere ? Vieni, Vieni"
Scesi anch’io in una specie di cantina magazzino di pietra. Ordinati sulla sinistra
alcuni sacchi, poggiate per terra delle patate, in un cesto cipolle, in altri
legumi secchi, ceci, fagioli, lenticchie. Poi alcune bottiglie, due damigianette
di vino rosso ed appesi ai travi speck, pancette, salami. Nel mezzo un rialzo
di pietra con due grossi taglieri in legno ed un coltellaccio. Riempimmo una
caraffetta di vino rosso; da una botola sul muro di pietra - evidentemente una
ghiacciaia -, estrasse un bel pezzo di costicine, le poggiò sul tagliere
e con un colpo secco di coltello ne tagliò due.
"Tieni" mi disse e ripose il pezzo in ghiacciaia.
"Torniamo su"
Dispose qualche brace sul focolare sotto una griglia pulita e leggerissima,
per metà fatta a tubetti, per l’altra metà una piastra liscia
che pareva una di quelle per fare le crèpes. La toccai incuriosito e
capii che non si trattava di un materiale normale.
"E’ in titanio."
"In titanio???"
"L’ho fatta fare da un amico tempo fa, quando mi occupavo di ricerche sui
nuovi materiali. Il titanio non rilascia sostanze tossiche ed è leggerissimo,
in più dura per sempre e si pulisce in un attimo"
"Lo so, è un materiale che conosco. Mi interessa molto sia per l’edilizia
che per il design. Proprio qualche giorno fa sono stato da un professore del
Politecnico di Milano per parlare di una maniglia che sto progettando in titanio."
"Costa ancora molto come anni fa ?"
"I prezzi dei tubi sono molto diminuiti, ma costa ancora parecchio di più
dei migliori acciai."
"Si, ma dura molto di più"
"Infatti, il problema è capire se ai produttori interessa davvero
mettere sul mercato oggetti duraturi ed inalterabili nel tempo, dato che ormai
la sopravvivenza degli oggetti di consumo sta diminuendo sempre di più."
"Forse a qualcuno potrà interessare, ma perché sfondi il
materiale, bisognerà aspettare che i grandi potentati decidano di investire
per trovare un’alternativa all’acciaio e che si riesca a dare un valore alla
biocompatibilità, all’atossicità ed alla durata. Miriadi di oggetti
inutili diventano rovine anzitempo. Prima inquinano per produrli, poi inquinano
la mente della gente per spingerla ad acquistarli, poi inquinano il benessere
delle case riempiendole di cianfrusaglie incombenti, e per finire inquinano
il mondo gettandoli via.
Non farti dei pregiudizi su di me, però. Non sono nè un ecologista
spinto, né un macrobiotico, né un adepto della new age, e nemmeno
un verde integralista. Ormai chiunque capisce con il buon senso che qualcosa
deve cambiare e che alcuni princípi sulla sostenibilità dello
sviluppo sono sacrosanti; ma non credo che né l’integralismo né
tantomeno il liberismo esasperato siano un atteggiamento giusto, almeno per
quelli che vivono dentro i meccanismi dello sviluppo, cioè quasi tutti.
Io me ne sono tirato fuori, definitivamente e quasi totalmente."
Parlammo ancora a lungo, pacatamente, in tutta tranquillità e con una
equilibrata comprensione reciproca .
Mangiando una costicina a testa con una fetta di pane, bevendo un ottavino di
buon vino rosso casereccio e poi yogurt ed un frutto, mi raccontò delle
sue ricerche in quella che lui chiamava l’altra vita e di alcune sue esperienze
di progettazione.
"Esci dall’università che sei un pulcino sognante e indifeso. Ho
sempre pensato che l’architettura fosse un’attività artistica elevata,
che progettare lo spazio implicasse ragionamenti spirituali e filosofici oltre
che strutturali e tecnologici. Ma come ben sai la realtà è un’altra
cosa; certo, sì, l’architettura è una complessa mediazione tra
istanze diverse, ma quando le istanze economiche, speculative, ed i vincoli
burocratici diventano predominanti, allora nascono i mostri. E’ sconsolante
e veramente preoccupante attraversare i nostri territori così martoriati
da timpanetti, balconi prefabbricati, recinzioni mostruose, condomini gialli,
arancioni, verdi, plastificati ed estranei, per non parlare delle fabbriche
Pensa cosa si potrebbe fare ed inventare per costruire dei bei capannoni Una
volta la fabbrica era un’occasione costruttiva e di innovazione e perfino simbolica,
l’edificio testimoniava solidità e tecnologia, oggi sono contenitori
a basso costo personalizzati da grafiche invasive; l’architettura è sostituita
dai linguaggi pubblicitari, il territorio semantizzato da marchi e logotipi,
l’oscurità pervasa dai luccichii delle insegne luminose La gente attraversa
sperduta questi deserti di cemento, la tensione diventa sempre più intima
e naturale, una condizione collettiva che porta sempre più ad un abbassamento
e livellamento del pensiero, delle attività spirituali, del piacere e
della comprensione. Non serve che vi mettano dei microchip sottopelle per parlare
direttamente coi computer, siete già degli automi, passivi ed inerti"
"Beh, c’è anche chi cerca di pensare e di difendersi"
"E’ un processo irreversibile. Hai visto la biennale di quest’anno ??
che cosa hai visto ??"
"Sì, è vero, la cosa più sconcertante è proprio
questa drammatica identità mondiale d’ispirazione; l’angoscia strisciante
ed incombente di un mondo senza futuro, inquieto, violento e volgare. Nella
giungla di oggetti e di feticci l’arte si disperde in una buia frenesia di produzione
mercificata"
"Bene, allora su questo siamo d’accordo; allora posso spiegarti il mio
metodo per tagliare i ponti. Nessuna ideologia, nessuna coerenza rispetto a
valori etici, nessun integralismo. Non pretendo tanto. E’ solo che non ce la
facevo più. Andiamo al sodo: ho rinunciato, ho tolto quasi tutto e soprattutto
tra le tante cose, ho eliminato il denaro."
"E come?"
"Nella mia vita attuale i miei rari rapporti con gli altri sono per lo
più regolati dallo scambio in natura per la minima sopravvivenza. Scambio
un capretto con le farine, un agnellino con un trasporto, un po’ di latte con
un po’ di formaggio; coltivo erbe medicinali per un mio amico che in cambio
mi rifornisce di medicine in caso di bisogno e via così.
Poi ci sono i quadri. Il mio amico mercante mi dà dei soldi, sì,
è vero. Ma sempre gli stessi e molto pochi. Praticamente compra i miei
lavori a metroquadro e poi io non ne so più nulla; non so se li vende
e a che prezzo, se li accatasta, se li brucia sul caminetto Potrebbero anche
valere molto sul mercato, ma io non ne so niente, anzi li firma lui con uno
pseudonimo che io non conosco. I disegni invece, spesso li scambio con lui con
materiali vari. Il nostro accordo è semplice: tutte le mie opere vanno
a lui e sempre per lo stesso prezzo e lui può farne ciò che vuole.
Nulla di scritto, nessun contratto; un giorno ci stufiamo, facciamo saltare
tutto e amici come prima!"
"Capisco. Mi sembra vantaggioso per il mercante."
"No, è vantaggioso per me, io gliene sarò grato per sempre"
"E tutta la terra che vedo, e questa casa, tutto il resto ?"
"Certo! Ma ti ho già detto che in questo non c’è ideologia;
non ce la mettere dentro tu. Ho venduto tutto quello che avevo ed ho ricomprato
tutto. Tutto quello che vedi sono io. Questa è la mia pensione, la mia
assicurazione, il mio futuro ed anche il mio passato. Beh, devo essere un po’
più preciso. Tengo qui nascosti dietro una pietra un po’ di contanti
per sicurezza. I soldi dei quadri me li versa in un conto in una banca telefonica
che io ogni tanto interpello con il cellulare da qui. La banca ogni mese preleva
automaticamente cinquecentomila lire. Duecentocinquantamila vanno in un PAC
azionario a lungo termine, le altre duecentocinquantamila in un fondo pensione
di ultima generazione. Con i quadri mi entrano circa venti milioni all’anno
se lavoro abbastanza. Adesso ne ho disponibili quattro."
"Allora non sei riuscito ad eliminare del tutto il denaro dalla tua vita."
"No, perché in quattro anni non sono ancora riuscito a realizzare
tutte le mie idee. Manca ancora qualcosa.
Adesso ho ordinato una stazioncina meteorologica professionale. Ho preso accordi
con il soccorso alpino: in cambio di un’osservazione quotidiana, tutto l’anno,
loro mi garantiscono l’elicottero in caso di emergenza. Come ti pare ?"
"Fantastico! Ma non scendi mai ?"
"Quasi mai. Ma sto pensando come fare. Certo non potrà farlo Rube."
"Chi è Rube?"
"Il mio cane" " A proposito come mai non hai portato la bassottina?"
"Mi sono svegliato che era ancora buio e non ci ho pensato, certo mi sarebbe
piaciuto"
"Senti, in questa busta troverai il modo di comunicare con me ed anche
un paio di piaceri che ti chiedoTornerai su prima dell’inverno?"
"Mi piacerebbe molto."
"Torna prima di metà ottobre perché poi nevica, magari cerca
di fermarti un po’ di più, anche qualche giorno se vuoi ! Scrivimi su
quel blocco il tuo indirizzo. Adesso però dobbiamo andare; sono già
le tre."
Uscimmo dalla casa, passammo per l’orto e per il pollaio. Mi preparò
un cestino con delle uova, della verdura e due meravigliosi porcini.
"Se ti fermano dì che sono di Jaco."
Scesi senza fretta per il sentiero guardandomi intorno ed assaporando i profumi
del bosco, con la mente rinfrescata e pulita.
Mi sentivo bene.
Arrivai a casa per cena portandomi sulle spalle un raro e semplice buon umore.
Parco naturale del
Paneveggio
Pascolo di Jaco
Caro Claudio,
potrai comunicare con me inviandomi sul computer la tua posta elettronica. Questo
è l’indirizzo.
Potrai anche inviarmi della posta alla sede del Parco. Se troverai la voglia
di tornare su, ti sarei grato se potessi procurarmi tre compact disk. Vorrei
avere la Bohème di Pavarotti e Mirella Freni diretta da Karajan, il concerto
per piano di Schuman eseguito da Arturo Benedetti Michelangeli e lo stesso concerto
nell’incisione di Claudio Arrau.
Poi mi farebbe molto comodo una testina per stampante a colori modello H.P.
Infine quattro barattolini di china seppia ed una confezione di pennini da inchiostro
di tipo professionale.
Domani mattina troverai una scatola per te alla reception dell’albergo centrale
di San Martino di Castrozza.
A presto
Jaco
La mattina seguente mi recai con mio figlio all’albergo. Trovai subito all’ingresso
una scatola di cartone legata con lo spago con scritto a gesso il mio nome.
Arrivati a casa la aprimmo tutti insieme. Dentro c’era uno speck intero, un
barattolo grande di miele senza etichetta, una bottiglietta con un distillato
di erbe per il sonno ed un bel po’ di porcini.
Il mercoledì successivo chiesi alla mia assistente personale di inviare
una e-mail all’indirizzo di Giacomo.
Caro Jaco ,
ti ringrazio del regalo. Se si tratta di uno scambio è di sicuro molto
vantaggioso per me. Tornerei volentieri su da te venerdì 1 ottobre, sempre
che ti vada bene.
Fammi sapere se hai bisogno di altro.
Penso di continuo al nostro incontro ed avrei mille cose da chiederti, ma ora
sono confuso ed i miei ragionamenti saltano qua e là senza capo né
coda. Mi domando come fai a caricare le batterie del telefonino e del portatile,
se stai lavorando al quadro, se il prossimo inverno starai lassù e come
farai con la neve.
Non vedo l’ora di rivederti
Claudio